1974 - 1978


AVVERTENZA: La filmografia comprende i film che ho visto. Di ogni film ho voluto dare una indicativa valutazione espressa da un certo numero di stelle (da 1 a 5). E' solo un modo di ordinarli in base alle mie preferenze personali, per cui non significa che i film che ne hanno di meno siano insufficienti!

 

1974 - L'ENIGMA DI KASPAR HAUSER

1976 - CUORE DI VETRO

1977 - LA BALLATA DI STROSZEK

1978 - NOSFERATU, PRINCIPE DELLA NOTTE

1978 - WOYZECK

brani video

 


FILMOGRAFIA 1967 - 1973

FILMOGRAFIA 1982 - 2001

 


 

 

L'ENIGMA DI KASPAR HAUSER    £
Jeder fur sich und Gott gegen alle (1974) - 109 min. - VHS (VIDEOGRAM - SAN PAOLO - NUMBER ONE VIDEO) - DVD (Ripley Home Video - Regione 2).

Premi: Premio speciale della giuria al Festival di Cannes (1975) - Premio Fipresci e Ocic (1975)

Guidizio:

iiiii

Dopo due film incentrati sul conflitto uomo-natura, Herzog recupera la prospettiva eccentrica di Paese del silenzio e dell'oscurità, trasferendola in un contesto narrativo: realizza così nel 1974 L'enigma di Kaspar Hauser, forse il suo capolavoro assoluto. Come Aguirre, anche questo film trae spunto da una vicenda reale: nella Norimberga del 1828 (nel film la cittadina di Dinkelsbuhl) venne "liberato" dalla reclusione in una buia cantina  Kaspar Hauser, un giovane di 16 anni, vissuto in condizioni animali, di cui non si riuscì a scoprire le origini e i motivi della sua reclusione (vedi clip; vedi clip). Questo mistero accese vivaci discussioni: qualcuno avanzò anche l'ipotesi che si trattasse di un legittimo successore al principato del Baden. Ma il mistero era destinato a rimanere tale dato che nel 1833, dopo essere stato una sorta di attrazione, Kaspar venne accoltellato da un assassino rimasto ignoto (vedi clip).

Non è però il mistero dell'identità di Kaspar che ad Herzog interessa piuttosto l'enigma che Kaspar rappresenta per la comunità borghese che lo accoglie. Kaspar viene man mano integrato nella società ma alla fine rimane un escluso, un "outsider".

Di fronte alla dolcezza e alla solidarietà delle figure "non pubbliche" (i bambini, la signora Hiltel (vedi clip), la signora Kathe) che per prime si incaricano di "educarlo", sta l'intolleranza, la sottile violenza della "ragione" di tutte le autorità: funzionari, militari, preti, professori (di logica appunto), tutori interessati a Kaspar in quanto oggetto naturale.

Così è per Lord Stanhope (che nell'arco di una sola sequenza consuma il suo rapporto di collezionista con il protetto) e perfino per il signor Daumer, che pure si incarica di inserire amorevolmente Kaspar nella sua società, e proprio per questo non riesce mai ad entrare in sintonia con le disperate ricerche del giovane per costruirsi uno spazio personale di comunicazione.

Esemplari al riguardo due scene:

Un professore di logica domanda a Kaspar Hauser se un viandante che cammina su una strada proviene da un paese dove vivono solo bugiardi o da un paese dove si dice solo la verità. Non si sa da dove viene, ma con una sola domanda lo si può scoprire. 

Logicamente, la questione non è molto semplice da risolvere, perché, se gli si chiedesse direttamente se proviene dal paese delle bugie, quello del paese della verità direbbe "no", ma anche quello del paese delle bugie direbbe "no", perché mente. L'enigma, dunque, va risolto diversamente, attraverso una doppia negazione si deve costringere anche il bugiardo alla verità. Quindi gli si può chiedere: se tu venissi da un altro paese, risponderesti di non alla domanda se sei del paese dei bugiardi?

Kaspar, però, propone un'altra soluzione: gli espediente logici non lo sfiorano neppure e quindi dice: "Io gli domanderei se è una pulce!". E', come si vede, una domanda del tutto intuitiva, nata dalla pura fantasia, che porta però ad una soluzione veritiera (vedi clip).

In un'altra scena, Daumer ed il reverendo Fuhrmann mostrano a Kaspar come cogliere delle mele da un albero:

Kaspar: "perché non lasciate stare le mele sono stanche, vorranno dormire!"

Daumer:  "una mela non può mai essere stanca perché non ha una vita propria, gli succede solo quello che vogliamo noi, guarda!" - Daumer prende una mela dall'albero - "ora ne getto una su questa strada e nel punto dove cadrà, lì rimarrà perché noi lo vogliamo".

Daumer lancia la mela sul selciato, questa rotola scartando verso l'erba - Kaspar:  "la mela non si è fermata, ha preferito nascondersi fra l'erba!"

Daumer: "ah, ah, reverendo Fuhrmann dobbiamo proprio dargli una dimostrazione!" - Daumer prende un altra mela - "Kaspar fai attenzione| ora il reverendo Fuhrmann metterà un piede davanti e quando io  farà rotolare la mela vedrai che si fermerà esattamente in quel punto! Guarda bene adesso!"

Daumer lancia la mela, questa oltrepassa il piede del reverendo e finisce anch'essa fra l'erba - Kaspar: "questa mela è molto furba, è saltata sopra il piede ed ha continuato la sua corsa! E' una mela molto furba!" (vedi clip)

In effetti, come lo stesso autore a suggerito, la sua versione del mito del "ragazzo selvaggio", non è un racconto filosofico (come, ad es., il film di Truffaut su un soggetto analogo) ma è una "Passione", un dramma religioso in cui la "santità" del protagonista si afferma gradualmente, stazione dopo stazione, attraverso episodi che confermano la "caduta pesante" di Kaspar nel mondo ed il suo procedere inesorabile verso la sofferenza ("la lenta morte di ciò che c'è di umanamente spontaneo in lui", Herzog) ma anche la rivelazione delle sue verità interiori.

Queste verità riemergono nelle sconcertanti "visioni" di Kaspar, inserti "estranei" (anche fotograficamente) di sogni e ipotesi di storie: la visione del Caucaso (un super8 girato in Birmania da Lucki Stipetic di un paesaggio selvaggio e misterioso); la "processione della montagna" (girata con Wyborny in Irlanda) - vedi clip -; la "carovana del deserto" (girata nel Sahara spagnolo), l'ultimo incipit raccontato da Kaspar sul letto di morte:

"C'è ancora una storia... della carovana del deserto  ma conosco solo l'inizio... io vedo una grandissima carovana che sta attraversando il deserto  in mezzo alla sabbia e questa carovana è guidata da un vecchio con la barba tutta bianca e questo vecchio uomo è cieco. 

ora la carovana si ferma perché alcuni pensano di essersi smarriti perché davanti a loro vedono le montagne...consultano la bussola per sapere qual'è la direzione... il vecchio prende un pugno di sabbia, l'assaggia come se fosse da mangiare, poi gira la faccia verso il sole:  "figli - dice il vecchio ceco - vi state sbagliando qui davanti a noi non ci sono le montagne è soltanto la vostra immaginazione continuiamo ad andare verso nord e cosi tutti riprendono il cammino senza discutere e raggiungono finalmente la loro meta che è la città del nord, è là che ha inizio la storia ... ma la vera storia che si svolge in questa città io non la conosco...

Vi ringrazio per avermi ascoltato con attenzione...adesso sono stanco...". (vedi clip; vedi clip; vedi clip)

"Alla fine, dopo che è Kaspar è stato assassinato, si cercheranno i segni della sua deformazione sezionandogli il cervello, ignorando completamente il fatto che ad essere deformata e la società borghese che tenta di conformarlo ai suoi standards" (Herzog). (vedi clip).

Geniale è la scelta di Herzog di Bruno S. per la parte di Kaspar. Sebbene il vero Kaspar sia stato un adolescente, Herzog affida il ruolo ad un non-attore, un uomo non più giovanissimo (un "Beethoven appesantito", secondo Pauline Kael) vissuto tra riformatori ed istituti per alienati, noto per essere stato l'"oggetto" del documentario Bruno il Nero, suonava un cacciatore un dì il suo corno (1970) di Lutz Eisholz. 

E' un rischio e gli approcci sul set sono difficili. Bruno conosce solo il dialetto berlinese e deve imparare le sue battute in un tedesco più che corretto, ottocentesco. Le esitazioni, gli sforzi che ne conseguono nel parlare, concentrarsi, muoversi finiscono però con l'adattarsi perfettamente al personaggio di Kaspar. Lo sforzo di Bruno e quello di Kaspar coincidono.

"Interpretato da un uomo che ha evidentemente dovuto prestare molta più attenzione alla dizione rispetto ad un attore professionista; il risultato è una dizione che è probabilmente zoppicante ma che esprime anche energia e determinazione rivelando momenti di grande autorità e dignità" (Robert Fisher, "Nuovo cinema tedesco 1960-1980").

 

NOTA 1: Il cast de L'Enigma di Kaspar Hauser riunisce molti interpreti dei film precedenti, che appaiono in ruoli di contorno: Florian Fricke (leader dei Popol Vuh), che era il soldato pianista di Segni di vita, è il pianista orfano che suono nella casa di Daumer; Helmut Doring, il nano più piccolo di Anche i nani..., è qui il re nano (discendente da una razzo di giganti sempre più piccoli...) in mostra nella scena del circo (vedi clip); il regista filippino Kidlat Tahimik, visto in Aguirre, è anch'esso un attrazione; Walter Steiner, il saltatore protagonista del documentario La grande estasi..., è un bracciante (un altro bracciante è il regista Herbert Acterbusch - vedi clip - mentre il critico Enno Patalas è il Reverendo Fuhrmann).

NOTA 2: La vicenda di Kaspar Hauser, oltre ad essere stata oggetto di oltre 3000 libri, è stata anche ripresa di Peter Handke nel "Kaspar" (in "Teatro", Milano,  Feltrinelli, 1969)  e da Peter Sehr nel film Kaspar Hauser (1994), dove si sposa la tesi secondo cui Kaspar fosse il principe rapito della Casa del Baden.

NOTA 3: Il titolo originale del film ("Ognuno per sè e Dio contro tutti"), sembra derivi da un film di Roger Corman, Il serpente di fuoco (The Trip, 1967), nel quale un nano su un giostra ripete continuamente questa frase.

 

Brani dal film "L'enigma di Kaspar Hauser"

 


 

CUORE DI VETRO    £
Herz aus Glas (1975/76) - 94 min. - VHS (VIDEOGRAM - NUMBER ONE VIDEO - SAN PAOLO).

Giudizio:

iii 

Herzog elabora insiema all’autore un racconto fantastico scritto dall’amico cienasta e poeta Herbert Acternbush (Die Stunde des Todes, trad. lett. “L’ora della morte”). Il racconto è basato sulla leggendaria figura di Hias, pastore visionario e profeta della Baviera orientale in un’epoca indefinita ma sicuramente pre-industriale. L’azione è posta in un villaggio di mastri vetrai nella Baviera di inizio ottocento. Il maestro dell’arte vetriera Muhlbeck muore e porta con sè nella tomba il segreto di fabbricazione del rarissimo vetro rubino. Il giovane padrone della fabbrica cerca immediatamente di recuperare la formula nella biblioteca del defunto ma, fallita la ricerca, in preda alla disperazione arriverà anche ad uccidere una giovane vergine (Ludmilla, amante di Hias) al fine di ottenere il suo sangue necessario per la mistura segreta. Alla fine, fallito anche il tentato omicidio, incendierà la sua stessa fabbrica.

I paesani, allora, lo rinchiudono in una cella insieme ad Hias, colpevole soltanto di aver predetto la sventura. La conversazione fra due personaggi così differenti nella cella  - il giovane proprietario della fabbrica ed il pastore Hias – rivela un importante aspetto comune ad entrambi.

Hias : "Devo andare, là nella foresta...Ho bisogno della foresta."

Proprietario della fabbrica : "E non hai bisogno degli uomini...Tu  mi piaci, hai un cuore di vetro!".

Alla fine i due in qualche modo si avvicinano; entrambi non si curano delle conseguenze e delle persone attorno ad essi, percorrendo un loro peculiare percorso, un obiettivo ambizioso. Hias ha avuto lo scomodo dono e dovere di precorrere il futuro dell’umanità nelle sue visioni. Ed in questo è simile al trovatello Kaspar Hauser che cerca una via di fuga dall’educazione borghese sognando luoghi remoti e parabole incompiute.

Nel finale, il pastore è di nuovo tra i suoi monti: lotta contro un orso immaginario e vede “lontano” un’ultima scena di (illusoria?) speranza. Su un’isola rocciosa “ai confini del mondo” (Skelling Rock, Irlanda) vivono ancora pochi uomini dimenticati i quali credono che la terra sia piatta e l’oceano abbia fine in un immenso vortice. Ma un giorno quattro di loro decidono di verificare di persona l’esistenza di questo abisso e si avventurano su una fragile imbarcazione, con un gesto “patetico e insensato”. “Forse avevano visto una luce di speranza in quel volo d’uccelli che li aveva seguiti fino in mare aperto” (vedi clip; vedi clip; vedi clip).

Allo stesso tempo il film più figurativamente prezioso ed enigmatico di Herzog  (David Cook); Herzog  si avvantaggia della forma aperta della leggenda folkloristica per far rivivere il suo cinema direttamente ed esclusivamente sulle istanze mistiche che fin dall’inizio lo hanno fondato: l’opposizione tra cecità collettiva ed il vedere oltre (destinato alla sconfitta) di uno solo; il parallelo tra insensati rituali di morte e catastrofe finale; la perversione nei rapporti col reale che porta alla follia ed alla distruzione; la fascinazione paesaggistica come espressione di alterità assoluta e nel contempo come speranza (l’ultima sequenza) e possibilità di rifondazione.

Ciò che è caratteristico però di Cuore di vetro (e che provoca nello spettatore maggior disagio) è la rinuncia alla dimensione “umanistica” apprezzata ad esempio in Kaspar Hauser. Quì l’omogeneità stilistica ed ambientale è assoluta, non esistendo personaggi centrali su cui convogliare la nostra attenzione e adesione; ogni azione nasce dalla profezie del veggente e gli stessi attori sono stati ipnotizzati per creare un  stato di sonnambulismo “un’atmosfera di allucinazione, di profezia e follia collettiva”, Herzog). Lo stesso pastore Hias, che come detto si distingue dagli altri personaggi (ed è l’unico a non essere stato ipnotizzato), risulta in fondo solo un tramite ignaro di eventi incommensurabili che lo annullano come soggetto.

La crisi totale che si manifesta è quella di un mondo che pone la produttività e il possesso come unici referenti riconoscibili ed Herzog stesso si è chiesto se “il futuro vedrà nella scomparsa delle fabbriche una necessità, come noi vediamo nelle rovine dei castelli una evoluzione ineluttabile”. Proprio la rappesentazione di questa dissoluzione è stata oggetto di critica. Si è osservato come in questo caso Herzog non sia riuscito ad ottenere quell’effetto di trascendenza presente nella realistica descrizione della parabola di Kaspar Hauser . Herzog, infatti, ha preferito stilizzare molto (ricorrendo anche all’ipnosi) il declino e la crisi dei vetrai, la disperata idiozia della popolazione, piuttosto che presentarla in maniera realistica (Wolfram Schütte).

Non tradendo, in effetti, la sua idiosincrasia per la drammaturgia tradizionale, Herzog ha preferito materializzare sequenza dopo sequenza i segni visivi e sonori della catastrofe sospendendoli in una cupa atmosfera uniforme e atemporale, in uno spazio arcaico memore di molteplici suggestioni figurative (la tradizione figurativa secentesca e il romanticismo di Caspar David Friedrich).

 

NOTA 1: "L'ipnosi non mi interessava affatto. Ero una delle tante persone seminformate che avevano delle idee sbagliate a proposito dell'argomento. Una maggiore attenzione è venuta naturalmente mentre giravo Cuore di vetro. L'ipnosi era connaturata alla storia narrata nel film, che parlava di gente che comunica in uno stato quasi di trance e finisce per ritrovarsi in una sorta di follia collettiva. Mentre scrivevo la sceneggiatura, mi chiedevo come avrei fatto a dirigere gli attori. Ho sempre avuto l'impressione che dovessero essere come dei sonnambuli. E ad un tratto mi è venuta l'idea di metterli in stato di trance. All'inizio avevo un ipnotizzatore professionista. Ma dopo un paio di sedute ho cominciato a pensare che avrei potuto fare di meglio e ho cominciato a fare da me. L'ipnosi, comunque, era solo un metodo stilistico. E' stata l'idiozia dei media a far montare la storia" (Herzog).

 

Brano dal film "Cuore di Vetro"

Brano dal film "Cuore di Vetro"

Brano dal film "Cuore di Vetro"

 


LA BALLATA DI STROSZEK    £
Stroszek (1976-77) - 108 minuti -  VHS (VIDEOGRAM - NUMBER ONE VIDEO - SAN PAOLO).

Premi:

Premio della giuria al Festival di Taormina del 1977

Giudizio:

iiii

Il film, nato dall'intento del regista di fare "un monumento a Bruno S.", riprende in effetti la disastrosa esperienza di quest'ultimo, un'esistenza divisa fra riformatori e prigioni. Così Herzog lo descrive nella sceneggiatura: "Piccolo, tarchiato, trasandato. Si allaccia i pantaloni con uno spago anzichè con una cintura; la chiusura dei pantaloni è quasi sempre aperta e non se ne accorge. Non porta mai i calzini, neanche di inverno; calza delle scarpe basse che evidentemente ha raccolto dal bidone della spazzatura. Le unghie delle dita sono sempre nere, le mani piccole e consunte dal lavoro. Quante volte Bruno è stato picchiato nella vita, lo si capisce guardandolo, e quanti anni abbia passato in galera, pure. Ha un pò quell'aria trasandata da animale maltrattato. Ma dietro c'è un uomo dai sentimenti delicati; lo si vede quando dipinge o si diletta al pianoforte. [...] E' difficile stabilire la sua età. [...] Bruno è un uomo dal forte magnetismo, dotato di estrema dignità. Possiede ciò che  solo pochi hanno: una luce interiore".

Come traspare anche da questa descrizione Herzog mostra una profonda compassione per Bruno come per gli altri personaggi di questo film "novembrino", amaro ma non cinico nè tanto meno consolatorio.

La prima parte descrive la vita di Stroszek nei sobborghi di Berlino, alcolizzato appena dimesso dal carcere, con il suo bagaglio composto da un corvo parlante, un piano ed una fisarmonica, le sue performances da suonatore ambulante nei cortili, la sua amicizia con il vecchio "paraphren" Scheitz e con la prostituta Eva (Eva Mattes), i suoi brutti incontri con i due "protettori" di questa Burkhard ed il Principe di Homburg ("quanto di peggio i western all'italiana abbiano creato in canagliume è uno sbiadito riflesso al suo confronto" scrive ancora Herzog). Nel suo primo film di "finzione" ambientato in epoca contemporanea Herzog ci mostra una Berlino proletaria  che ricorda certi film della "Nuova Oggettività" tedesca degli anni '20 come Il viaggio di Mamma Krause verso la felicità (Mutter Krausens fahrt ins gluck, 1929) di Jutzi (peraltro oggetto nello stesso periodo di una remake di Fassbinder).

Commoventi sono in particolare due scene: la prima in cui Bruno ed i suoi compagni di cella vedono attraverso una bottiglia piena d'acqua le  immagini distorte della gente che passa per la strada sottostante. La seconda  dove Bruno conversa con il dottore della prigione e quest'ultimo gli mostra il vitale riflesso prensile di tipo scimmiesco di un neonato nato prematuro.

Nella seconda parte Herzog getta uno sguardo fra i più disincantati  e veritieri sull'America allorché ci mostra l'impossibile tentativo di rivalsa di Bruno emigrante, con Eva e Scheitz, in quel di Plainfiled (Wisconsin) "solo un incrocio stradale e niente più".

Irresistibile, ed esemplare del disagio esistenziale di Bruno, la scena in cui Bruno assiste alla vendita all'asta della sua Mobile-Home, vendita condotta da un banditore che conduce con il suo gergo incomprensibile il frenetico cerimoniale. Secondo la maniera dei banditori americani parla incredibilmente veloce, tanto che sembra di ascoltare un registratore a velocità accelerata. Risuona come un'acutissima cantilena.

Quando poi la casa è ormai venduta e Bruno tenta di protestare in tedesco (non avendo imparato ad esprimersi in inglese), questi gli risponde innocentemente: "Sorry sir, I don't understand you!".

La ribellione di Bruno, ormai anche abbandonato da Eva che ha ripreso a prostituirsi, sarà una velleitaria rapina ad un barbiere ed il furto di tacchino surgelato in un supermercato. Fino ad arrivare all'epilogo finale quando Bruno,  approdato ad una deserta riserva Cherokee, irrompe in una stazione di seggiovia abbandonata e si spara alle cervella, mentre la seggiovia va dissennatamente su e giù per tutta la notte, il suo camioncino gira in circolo senza conducente ed un capo indiano guarda impassibile tutto ciò.

Memorabile il montaggio finale di "balletti meccanici" dei soliti "animaletti" Herzogiani (galline e conigli ammaestrati  che si muovono ritmicamente sotto la nevrotica tortura delle macchine a gettone di un "Carnival of Sorts").

 

NOTA: La Ballata di Stroszek è l'unico film di Herzog ad aver avuto, nel 2000, una riduzione teatrale ad opera della "Theaterless Theatre Corps" di Austin (Texas) e del regista Josh Frank.


NOSFERATU, PRINCIPE DELLA NOTTE    £
Nosferatu - Phantom der Nacht / Nosferatu, the undead (1978) - 107 min. - VHS (FOX VIDEO) - DVD (Ripley Home Video - Regione 2).

Premi: Orso d'Argento per la migliore scenografia al Festival di Berlino del 1979

Giudizio:

iii

Nel 1978 Herzog è ormai un regista affermato, il capofila dei cineasti tedeschi che dai primi anni '60 hanno rivitalizzato il cinema tedesco. I suo film hanno ricevuto apprezzamenti dai critici di tutto il mondo, hanno vinto premi prestigiosi, ma non hanno incontrato un gran successo tra il pubblico, specialmente in Germania. E ad una platea più ampia sembra rivolgersi il film che si appresta a girare, Nosferatu, con la coproduzione della francese Gaumont ed un contributo della Fox (che si assicura la distribuzione nel mondo del film). Herzog passa così da un budget di 900.000 marchi per Stroszek ad uno di 2.500.000 marchi per questo film. Il film poi è girato contemporaneamente in due lingue, tedesco e inglese (evitate quest'ultima versione, se potete) e può fruire di una campagna pubblicitaria più che adeguata.

Il film è un remake, "quasi" filologico, del capolavoro horror di Murnau, Nosferatu, una sinfonia dell'orrore (1922), che Herzog considera "il più grande e il più importante film che sia mai stato fatto in Germania". Questo film di Murnau si basava su una sceneggiatura di Henrik Galeen che rimaneggiava e stravolgeva fortemente il romanzo di Bram Stoker. Per fare un esempio, nel romanzo Stoker scrive addirittura che Dracula agisce preferibilmente all'alba, a mezzogiorno ed al tramonto! Furono Murnau e Galeen che, ispirandosi al folklore, a introdurre nel cinema la regola, poi divenuta canonica, del sole che incenerisce i vampiri. Per non pagare i diritti alla vedova di Stoker, Florence, Galeen e Murnau cambiarono anche i nomi ai protagonisti: Conte Orlok- Conte Dracula, Hutter-Harker, Ellen-Mina).

Concepito come "un viaggio negli arcani dell'inconscio e come una ricerca dell'alterità sepolta" (P.G. Tone) il film di Murnau si segnale per una successione di sequenze impressionanti: il viaggio di Hutter al paese dei fantasmi; il superamento del ponte che ne costituisce la terribile frontiera; l'ingresso del vascello maledetto nel porto; la discesa dei becchini per il vicolo deserto; il dileguarsi del vampiro al canto del gallo. Nella "sinfonia dell'orrore" messa in scena da Murnau si integrano perfettamente anche una sorta di documentario scientifico sulle piante carnivore ed un curioso intermezzo comico.

A differenza di certi film di tendenza espressionista come Il gabinetto del Dr. Caligari (1919), dove i temi emergono da una dichiarata manipolazione del materiale profilmico (luci, scenografie, costumi, trucco), Murnau, che girò il film con mezzi ridottissimi, si affida, invece, a immagini naturali riprese spesso con angolazioni impreviste (colline scure, fitte foreste, cieli dalle nuvole frastagliate foriere di tempesta, le onde del mare che presagiscono l'avvento del vampiro). "La natura nel Nosferatu muto partecipa al dramma" (L. Eisner) e quest'aspetto Herzog ha mantenuto, se non potenziato, nel suo remake.

La Trama (riduzione dalla sceneggiatura originale): l'epoca è quella preferita da Herzog, prima metà del secolo scorso, il luogo è la tranquilla ed ordinata città di Wismar sulla costa del Baltico. Quì abitano Jonathan Harker (Bruno Ganz), agente immobiliare, e la sua bella e giovane moglie Lucy (Isabelle Adjani).

Un giorno Harker riceve dal suo superiore, il viscido Renfeld (Roland Topor), che glielo comunica con gioia diabolica, un incarico impegnativo. Il Conte Dracula, dalla lontana Transilvania, vorrebbe comprare una casa in città e Harker è stato scelto per andare al suo castello e proporgli la vecchia casa abbandonata vicino alla sua. "Ci vorrà del tempo prima di arrivare laggiù e costerà molto sudore e forse anche del sangue" dice Renfeld sogghignando, ed invitandolo a partire il giorno stesso.

Il mattino seguente, Jonathan è pronto a partire. Il cavallo è sellato. Davanti alla casa del cognato di Jonathan, Schrader, sono riuniti questi, Lucy e Mina, la sorella di Jonathan (quì Herzog ha invertito i nomi dei due personaggi del romanzo). A questi Jonathan lascia in custodia la moglie, il bene più prezioso che ha. Dopo aver abbracciato per l'ultima volta la moglie, se ne va a cavallo, mentre la famiglia resta ferma sulla porta come in un quadro.

Dopo un lungo viaggio a cavallo, Jonathan raggiunge la regione dei Carpazi, un zona montuosa ricca di boschi. Pesanti, estive nuvole temporalesche si addensano sulle vette. La sera, Jonathan arriva in una tranquilla locanda di campagna che allo stesso tempo è una stazione di posta. Appena Jonathan si avvicina sul suo stanco cavallo, visibilmente zoppicante, gli zingari che sono lì accampati gli corrono incontro e lo circondano. L'osta, che ha individuato l'ospite di riguardo, lo introduce nella casa. 

Allorquando l'oste ed i suoi ospiti vengono a sapere la destinazione di Jonathan, tentano di dissuaderlo: "Ma non si rende conto che dove sta dirigendosi si aggirando tutti gli spiriti maligni? Ci sono lupi dallo sguardo di fuoco e uomini che scompaiono senza lasciare traccia?". Gli zingari poi gli dicono anche che secondo loro il castello di Dracula non esisterebbe che nella fantasia degli uomini. Si tratterebbe di ruderi, di un castello di spiriti. Chi si arrischiasse tanto avanti nella terra dei fantasmi, vi si perderebbe.

Nella sua stanza, poi, Harker trova un libro sulla stregoneria, in cui legge di certi vampiri succhiatori di sangue, di morti resuscitati e di Nosferatu, il non morto ("la maledizione graverà sugli uomini, la maledizione del vampiro Nosferatu, che vive e si nutre del sangue dell'umanità e, dannato, trova dimora in orribili caverne, tombe e bare riempite di terra maledetta, proveniente da quei cimiteri dove la morte nera ha mietuto il suo raccolto ... la peste").

La mattina dopo, Jonathan vorrebbe essere accompagnato da un chocchiere fermo davanti alla locanda. "Non c'è una strada che porta al Passo Borgo", dice il cocchiere riluttante ed a Jonathan tocca farsela a piedi. L'ostessa sulla soglia della locanda si fa il segno della croce, muta, gli sguardi muti degli zingari lo seguono, il cocchiere gli lancia uno sguardo fosco. 

E così Harker attraversa a piedi una deserta montagna rocciosa, con pendii nevosi e precipizi, , una gola profonda e buia in cui scorre una maestosa cascata. Il preludio de "l'oro del Reno" di Wagner accompagna la sua ascesa. Harker supera il passo, è ormai sera, l'ambiente è sempre più sinistro: ululati di lupi in lontananza, nel cielo, sorvolato da pipistrelli,  le nuvole scorrono come impazzite. E' già notte fitta intorno a lui che una spettrale carrozza  avanza senza suono verso di lui. Il cocchiere, avvolto in mantello scuro, lo invita ad entrare, con un gesto che non consente obiezioni.

Il castello di Dracula si erge su un picco roccioso, tetro rudere nel cielo scuro. Mentre Harker sta salendo le scale, i battenti del portone si aprono da soli e dall'oscurità emerge il Conte Dracula (Klaus Kinski):  un figura rigida, vestita di un abito nero, attillato. Le spalle sono leggermente curve in avanti e le mani contratte l'una sull'altra. Le dita sono lunghe e affilate. Il volto è pallido, il capo completamente calvo, le orecchie raggrinzite ed a punta.

Dracula gli da il benvenuto nel suo castello. Lo stava aspettando. Lo invita nella sala da pranzo, dove su un lungo tavolo di quercia è stata imbandita una cena per l'ospite. Harker porge al conte la pianta della casa scelta per lui con allegata una lettera di Renfeld. Dracula, tuttavia, non vi presta molta attenzione. D'un tratto echeggia l'ululato raccapricciante dei lupi. Harker rabbrividisce. "Sentite", dice Dracula ad Harker spaventato, "Questi sono i figli della notte. E' il loro modo di fare musica!", "Ah giovanotto, quale uomo di città non può capire l'anima di un cacciatore".

Harker, innervosito, non fa attenzione nel tagliare il pane. Il coltello gli scivola e si taglia leggermente il pollice. Argomentando che il coltello poteva essere infetto, Dracula si avventa a succhiagli il sangue ("è il rimedio più antico del mondo!". Jonathan respinge  cortesemente l'offerta. Dracula si trattiene a stento, poi il suo istinto irrefrenabile lo spinge ad avventarsi sulla mano di Harker. Voglia comprendere lo ha fatto solo per il suo bene.

Il giorno seguente, Harker si sveglia sulla poltrona massiccia nella sala dove ha cenato. Il suo sguardo cade sul pollice che si era ferito; se ne rammenta. Poi si tocca il collo e nota u segno, due punture una vicino all'altra: il morso di un ragno? 

La sera Harker e Dracula si ritrovano nella grande biblioteca. Dracula sembra angustiato. Non ama più la luce del sole, dice, ama le tenebre e le ombre dove può stare solo con i suoi pensieri. Discende da una antica stirpe. Il tempo per lui è un abisso, profondo migliaia di notti. Secoli che vengono e passano e non poter invecchiare, è spaventoso. La morte non è tutto, c'è qualcosa di assai peggiore. Lui, Jonathan, riesce a immaginare che cosa significhi sopravvivere secoli e ogni giorno vivere le medesime futilità.

Harker, stupito, alza lo sguardo dal tavolo e incontra quello del vampiro. Dracula si rende conto di avere detto forse troppo; cambia rapidamente argomento ed anche il suo tono diventa quello di una conversazione d'affari. Vuole vedere la pianta; mentre Jonathan gliela porge estraendola dalla sua tasca, il medaglione con la foto di Lucy, gli cade sbadatamente sul tavolo. Come artigli di un uccello le dita di Dracula lo afferrano; il conte è colpito dalla grazia di Lucy, e desidera concludere subito il contratto.

La notte Harker viene finalmente visitato dal vampiro. Sente come se un colpo di vento avesse scosso leggermente una porta non chiusa bene, poi silenzio. Spingendosi fuori dall'oscurità avanza lentamente la figura di Nosferatu. Lentamente le sue braccia si sollevano come ali, sopra la testa di Harker, quasi fossero artigli. Come un animale impaurito Harker si ritira in un angolino del letto. Nosferatu si muove verso di lui. Privo di volontà, paralizzato Harker vede l'orrore arrivare, venirgli addosso. Molto lentamente il vampiro si china su di lui, sul suo collo.

Nel fattempo, a Wismar, Lucy si sveglia di soprassallto, sollevandosi sul letto. Una sensazione di pericolo l'ha scossa, si alza, comincia a vagare come una sonnanbula. Lucy è in delirio, completamente assente. Schrader e Mina chiamano il dottor Van Helsing per visitarla. All'improvviso Mina si ridesta e grida: Jonathan!

Jonathan giacie sdraiato sul letto, privo di sensi, completamente rigido, gli occhi semiaperti. Nosferatu sta sul suo collo. Di colpo s'alza e si mette ad ascoltare, ha sentito il grido di Lucy: deve raggiungerla.

Un grande veliero scuro, una goletta, è ormeggiata alla banchina del porto. In mezzo a tanta altra merce che deve essere caricata, si trovano delle bare che contengono, ufficialmente, terra da giardino per esperimenti botanici ma noi sappiamo che è il mezzo scelto da Nosferato per raggiunger Wismar. Un ispettore ne fa aprire una: nella bara si vedono, fra la terra, diverso topi; uno di questi morde un marinaio.

L'arrivo del vampiro, è presentito dal suo servo, il laido Renfeld, completamente impazzito, che viene rinchiuso in manicomio. Ingabbiato in una camicia di forza, l'uomo strilla rotolandosi; poi, di colpo, si calma. Dice di sentire il fruscio delle vele in lontananza (questa scena, come molte altre scene con Renfeld, è stata soppressa nell'edizione italiana).

Intanto la nave sta arrivando. Il capitano (Jacques Duphilo)  scrive il diario di bordo: "Sulla nave sembra gravare una maledizione da quando abbiamo lasciato il Mar Nero. Uno dopo l'altro si sono ammalati e sono morti quattro marinai ed un sottufficiale. Un marinaio e il cuoco sono scomparsi senza lasciar traccia. Si è sparsa una voce che ha gettato gli uomini nel panico: a bordo ci sarebbe uno sconosciuto, ma abbiamo cercato dappertutto. Solo ratti, sono una vera piaga. Cerchiamo di mantenere la rotta Nord-Ovest. Vento costante. Velocità 12 nodi". In un'altra scena, il capitano, rimasto solo a bordo, si lega con delle corde al timone, intenzionato a non abbandonare il suo posto. Alla fioca luce del crepuscolo, vediamo il profilo nero della nave, che procede inarrestabile. A prua della nave dei morti spumeggiano bianche le onde.

Quando la nava fantasma arriva a Wismar, i ratti sgusciano dal ponte. Un ispettore doganale si avvicina al comandante del porto: ha trovato il libro di bordo. Nella capitaneria, con tutte le autorità cittadine presenti, il comandante del porto comincia a leggerlo ad alta voce: "Sulla nave c'è qualcosa di misterioso. Ratti dappertutto...potrebbe essere la peste?". A questo punto si ferma spaventato. Tutti ammutoliscono. Nel silenzio un grido: la peste! Un'agitazione frenetica si impadronisce dei presenti, tutti vogliono scappare verso l'uscita. La voce del comandante ordina a chi a perso la testa di fermarsi: devono tornare a casa con calma, e chiudere con cura porte e finestre.

La notte stessa, per le strade silenziose, si aggira Nosferatu; portando una bara si dirige verso la vecchia casa, semidiroccata, situata vicino quella di Harker.

La mattina dopo, una carrozza si ferma davanti alla casa di Schrader. Due uomini e il cocchiere scaricano un uomo malato che deve essere sorrette. E' avvolto da coperte intorno alle spalle. Lucy riconosce immediatamente Jonathan e con un grido gli si getta al petto. E' fuori di sè dalla gioia. Jonathan ha un aspetto molto malato e trascurato; si libera turbato e irritato dall'abbraccio e getta un'occhiata smarrita al cocchiere. "Chi è questa donna?" domanda incespicando. 

Jonathan viene visitato dal medico Van Helsing (Walter Ladengast), che diagnostica una febbre nervosa. Jonathan è irrequieto, si ripara gli occhi con la mano. Il sole gli fa male, mormora. Lo collocano così nell'angolo più scuro della stanza.

La notte, mentre Jonathan giace apatico sulla poltrona, Nosferatu entra d'improvviso nella stanza di Lucy, il suo viso è in estasi, cupido di preda. Si avvicina a Lucy che, altrettanto improvvisamente, intuisce la presenza del pericolo, guarda il gattino e con una leggera rotazione del corpo scopre l'intruso dietro di sè. Uno sguardo nello specchio la terrorizza perchè qui solo lei è riflessa, non l'immagine del vampiro.

Nosferatu comincia sottovoce a parlare, voglia scusare se non si è annunciato, è il conte Dracula. Sa di lui, ha letto il diario del marito, dice Lucy coraggiosa. Jonathan è andato in rovina da quanto è stato da lui. Non morirà, dice Dracula. Certo, dice Lucy, la morte è grande, sono tutti sue creature. I fiumi scorreranno senza di loro, il tempo passerà, che guardi pure fuori, le stelle turbate si muoveranno verso di loro. Solo la morte è una certezza crudele. Morire, dice il vampiro, è una crudeltà per gli incoscienti. Ma la morte non è tutto; più crudele ancora è non poter morire. Egli vorrebbe, dice cupidamente, poter partecipare all'amore fra lei e Jonathan. Niente al mondo, ribatte ferma Lucy, potrà intaccarlo, anche se Jonathan non la riconosce più da quando è tornato. Egli potrebbe cambiare ogni cosa, la implora il vampiro, deve andare con lui, diventare la sua alleata: questa sarebbe la salvezza per suo marito e anche per lui. 

Lentamente Lucy vince lo spavento, si sente attratta in modo strano dal visitatore notturno. Il vampiro si avvicina bramoso a lei. Qualcosa di doloroso e di profondamente triste emana dal suo volto. La tocca. Lucy riconosce il pericolo insito nel gesto, si alza e si accosta al vampiro, scoprendo la sua piccola croce d'argento sul petto, il vampiro fa un balzo indietro. Può starne certo, a lei non fa paura neanche il pensiero dell'impossibile.  Nosferatu si allontana, indietreggiando si sottrae alla forza magica della piccola e per lui ripugnante croce d'argento e scompare gemendo nell'oscurità della porta aperta.

Il giorno dopo, Lucy, accanto a Jonathan, legge il libro sui vampiri: "Nosferatu, il non morto, è il signore di tutta una sfera di esseri viventi come ratti, pipistrelli, lupi. I sepolcri sono la sua dimora, specialmente i campi della peste. Eppure, sebbene il vampiro sia un essere contro natura, deve obbedire ad alcune leggi naturali. Il segno della croce lo escorcizza. I raggi del sole lo annientano. Un'ostia consacrata può rendergli inaccessibile il nascondiglio. Se una donna dal cuore puro gli fa dimenticare il canto del gallo, la luce del giorno lo ucciderà".

La piazza grande di Wismar. Lucy arriva, camminando risoluta e spunta in mezzo alla piazza, orlata da stupende case borghesi. A un'estremità si trova l'alta chiesa gotica all'altra estremità il municipio, riccamente decorato. Qui Lucy incontra una spaventosa processione, un lungo corteo di bare, portate, ciascuna, da quattro uomini, a spalla. Tutti sono vestiti di nero e portano il cilindro, è una lunga fila, che arriva al termine della piazza. Il primo portatore di bare urla a Lucy di andare via, c'è la peste, cos'ha da cercare lì. Deve andare al Consiglio comunale, risponde Lucy. Si è sciolto, non esiste più, dice l'uomo. Allora andrà dal sindaco, insiste Lucy. E' morto, deve tornarsene a casa di corsa, la consiglia. 

In aperta campagna, al chiaro di luna, sotto un cielo di nuvole che corrono veloci, Nosferatu e Renfield si sono dati appuntamento. "Cosa comanda il maestro?", si informa servile Renfield. Deve andare al nord, a Riga, dice Nosferatu. L'esercito dei ratti e la peste nero sono con lui. "Sia fatta la tua volontà Nosferatu!", eslcama Renfield, incammindandosi per un viottolo e scomparendo.

Lucy si rivolge a Van Helsing, mostrandogli il libro sui vampiro. Questi lo ritiene solo un parto della fantasia. La cosa rende Lucy ancora più insistente, eppure egli ha letto il diario di Jonathan, lo ha visto con i propri occhi. E' fuori, ogni giorno è sempre peggio con i ratti e la peste, e lì, nel libro sui vampiri, c'è spiegato tutto, eccome. Viviamo in tempi illuminati, cerca di acquietarla Van Helsing, nei quali la scienza ha sconfitto superstizioni del genere. E' tutta una credenza, dice Van Helsing. Si credenza, signor dottore, lo incalza Lucy, la credenza è quella sorprendente capacità dell'uomo che gli consente di vedere cose che egli ha giudicato non vere. Il dottore dovrebbe aiutarla ad annientare il mostro. Insieme dovrebbero scoprire il suo nascondiglio, stanotte stessa. Ha bisogno di riposo e di distrazioni, risponde Van Helsing, evidentemente si è strapazzata troppo per suo marito; la questione dovrà essere prima vagliato scientificamente. No, dice Lucy sempre più incalzante, stanotte stessa bisogna cominciare, non si può perdere altro tempo. Van Helsing dolcemente mette una mano sulla spalla  di Lucy. Anche il buon contadino sa che per ogni cosa occorre il suo tempo. Non gli verrebbe mai in mente dei dissotterrare il frumento per vedere se cresce. Questo lo fanno solo i bambini che giocano a fare i contadini.

Lucy non vede altra possibilità di convincere il dottore. Tace, ma dentro di sè aumenta il coraggio. Allora distruggerà da sola il mostro, fa sapere al dottore. La stessa notte, entra nella casa semicadente, comprata dal vampiro, scende in cantina, dove trova una bara. Il coperchio è leggermente spostato, Lucy lo toglie via decisa. Ma la bara è vuota, dentro c'è solo un pò di terra nera. Lucy estrae un'ostia bianca da una tasca, la sminuzza con le dita e sparge le briciole nella bara.

A Wismar intanto la peste continua il suo flagello. La sequenza riprende i modelli figurativi dei pittori fiamminghi del '500. Le case sono sprangate con assi, e quel che è ancora rimasto della vita  si è trasferito all'aperto. Una donna siede rigida, impassibile, su una poltrona. Due grossi maiali le si avvicinano lentamente. Un monaco flagellante tiene un sermone. Ratti sopra le botti di vino. Bare, croci di legno. Una carrozza rovesciata con il cadavere del cavallo ancora accanto. I bagagli sono caduti dal tetto, valigie andate in pezzi sparpagliate intorno. Ogni forma di ordine si è dissolta, la piazza brulica di esseri umani. L'intera piazza di Wismar danza, bambini, vedove, monaci. Sopra le bare si fa merenda. Un grosso tavolo imbandito al centro della piazza. Gente di un certo rango seduta davanti a preziosi servizi. Vini pregiati, tovaglioli di damasco, piatti d'argento con pietanze prelibate. Li i ratti si sono addensati a formare un gigantesco mucchio, l'intera compagnia riposa su un mare fluttuante di ratti. Anche sul tavolo si aggirano strisciando. Ma i banchettanti non si scompongono minimamente. Fioriti discorsi conviviali, modi squisiti. Una signora con gesto grazioso, allontana un ratto dal piatto. Lucy avanza fra la folla, si avvicina al tavolo; le viene offerto un bicchiere di vino. Hanno tutti la peste, le spiegano i convitati, adesso sì che si vivrà bene davvero.

Tornando a casa di Mina, Lucy ha una brutta sorpresa. I servitori si agitano per la casa in preda al panico. Un attuario della polizia scrive un verbale. Due infermieri del manicomio hanno infilato un uomo dentro la camicia di forza, lo hanno gettato per terra e gli hanno legato le maniche dietro. Quando lo girano, Lucy riconosce suo cognato Schrader che la fissa con uno sguardo folle. Ha la bava alla bocca. A una occhiata ulteriore Lucy scopre qualcosa che la lascia di sassi: li, sul pavimento, bianca come la neve, giace, morta, Mina. Ha indosso la camicia da notte di pizzo bianco. Sul collo tracce di sangue. Van Helsing è accanto a lei. Si alza. Si deve rassegnare, dice. Può avvicinarsi, non si tratta sicuramente di peste. Le cause, dive Van Helsing, saranno ricercate scientificamente, senza pregiudizi e superstizioni. Basta, dice Lucy, basta con la sua scienza. Adesso sa cosa deve fare.

La sera, Lucy ha indossato un abito da festa e si è tolta la croce d'argento dal collo. Si dirige verso Jonathan e lo adagia sulla poltrona, perchè li passi la notte, vuole restare sola nella stanza da letto. Si china su di lui e lo bacia teneramente. Jonathan si rianima in volto, e fissa d'improvviso il collo bianco di Lucy. Lei non si accorge di quello sguardo strano. Prende da una scatolina una delle ostie consacrate e la sminuzza. Sparge per terra le briciole facendo un cerchio protettivo intorno a Jonathan. Che Dio lo protegga, mormora, che possa uscirne salvo.

Lucy chiude le tende e lascia la stanza, proprio come se fosse una sera qualunque. Il letto è pronto. Rose bianche in un vaso, bianchi petali di rosa giacciono sparsi sul pavimento e sul letto. Le candele ardono nei candelieri. C'è qualcosa di solenne nella stanza, qualcosa di festoso. E' Lucy che ha disposto tutto per l'arrivo del vampiro.

A mezzanotte, Lucy giace nel letto, nella sua camicia da notte di seta. Il vampiro si avvicina al suo letto, le braccia ad artiglio sollevate in alto sopra il capo come ali. Quasi in uno stato di trance, remissiva, Lucy giace in atteso. Il vampiro si china su di lei e si accosta al suo viso. Lucy si spaventa a morte e lo respinge con le sue mani. Il vampiro, respinto, lascia trasparire dal volto un estremo dolore ed emette un sospiro profondo. Lucy lascia cadere lentamente le braccia e offre il suo corpo, un che di seducente ed erotico emana dalla sua persona. Il vampiro la guarda sospirando e solleva la camicia da notte fino alle cosce. Palpa il corpo di lei e lo odora. Pian piano si dirige al collo che lei gli porge. Il vampiro conficca i suoi denti nella gola della donna e succhia. Lucy lo cinge con le braccia. 

Il mattino seguente, Lucy giace, distesa sul letto, in stato di semincoscienza. Chino sul collo, il vampiro resta immobile per un certo tempo, come fanno iragni, che rimangono fermi quando dissanguano la vittima. Poi lentamente Nosferatu alza il proprio viso sazio, soddisfatto, dal collo di Lucy. Ha la testa e le palpebre pesanti. Vediamo i lunghi incisivi aguzzi. Il vampiro annusa, guarda verso la finestra e nota il primo bagliore del giorno che s'annuncia. Lentamentei fa per alzarsi. Ma ecco che le braccia di Lucy lo avvinghiano con amore e dolci lo tirano di nuovo a sè. Dopo un attimo di esitazione il vampiro si arrende come un neonato sazio che ancora voglia di poppare. Lucy lo abbraccia.

Da fuori si ode il canto di un gallo. Il vampiro, orami desto, ascolta. Fiutando il pericolo alza la testa e si volge verso la finestra. Sulle case di fronte si notano già i piani superiori immersi nella luce del mattino. Con un balzo il vampiro si separa da Lucy e va alla finestra a guardare. Improvvisamente un raggio di sole lo colpisce di taglio. Nosferatu trasale, il corpo si contrae, deformandosi come fosse trapassato da un giavellotto. Lentamente si volta. Il suo viso è sfigurato in modo orrendo dalla luce; non ha più la vista ormai. Cieco fissa la stanza. C'è solo il bianco  dei suoi occhi. fra orribili spasmi, si regge ancora in piedi, per secondo che paiono lunghissimi, poi crolla a terra. Fra orrende convulsioni, Nosferatu si spegne.

Il giorno dopo, il dottor Van Helsing, cereo in volto, è chino su Lucy, poi si solleva. Le congiunge delicatamente le mani. A terra Nosferatu giace in una posa deforme. Ora sa tutto, mormora il dottore, oh, Dio, se l'avesse ascoltata prima. Presto, un paletto ed un martello, così da poter annientare il mostro. In salotto Jonathan si sveglia, è lucido di mente e si stiracchia. Passandogli accanto con un paletto appuntito ed un pesante martello, Van Helsing corre nella stanza da letto. Sentiamo colpi sordi di martello che trapassano Jonathan come fosse colpito egli stesso. Balza in piedi e fa per avanzare, ma il cerchio magico intorno a lui lo trattiene. Non può allontanarsi dalla sua poltrona. 

Van Helsing esce dalla porta della stanza da letto con un martello nella mano destra, è macchiato di sangue, ha ultimato la sua opera orrenda. Bisogna fermarlo, grida Jonathan, ha assassinato un uomo, il conte. Alcuni funzionari sono entrati nella stanza. Uno di loro si avvicina a Van Helsing. E' stato lui, con quel paletto lì, ad attraversargli il cuore? Sì, dichiara Van Helsing, ma ha un'importante spiegazione da dare. Non ha bisogno di alcuna spiegazione, l'ufficiale dice facendosi di ghiaccio, il dottor Van Helsing è in arresto. Deve arrestare quest'uomo, dice rivolto al piccolo, curvo impiegato comunale (Clemens Scheitz). Arrestare, ripete questi molto perplesso, con voce gracchiante. Deve chiamare la polizia, lo apostrofa il funzionario. Tutta la polizia è morta, gracchia l'impiegato. Allora deve portare quell'uomo in prigione, gli dice brusco. le guardie del carcere non son più in vita, risponde con crescente disperazione il piccolo uomo curvo. Allora deve effettuare egli stesso l'arresto, gli urla contro il funzionario. Ma è disarmato, gli occorerebbero delle armi, non ha mai arrestato nessuno, come può farlo ora. 

quando tutti se ne sono andati, Jonathan si rivolge ad una domestica, gli chiede di spazzare con la scopa davanti a sè. Non appena la polvere bianca dell'ostia è rimossa, Jonathan, a grandi passi si mette in movimento. Il suo viso è rigido e bianco; comanda che gli si appresti un cavallo, adesso ha molto da fare.

Grande litorale, giorno. Un fragore di tempesta è nell'aria, il cielo si è oscurato, la sabbia scivola sul litorale nella nostra direzione. Le nuvole scorrono veloci. Come il fragore di una tempesta, arriva al galoppo un cavaliere su un cavallo nero.  Il mantello gli svolazza intorno. E' Jonathan. Galoppa lontano, il volto rapito. Sparisce all'orizzonte. Restano solo le nuvole che impazzite volteggiano nel cielo scuro.

Nel tema del film c'è di nuovo l'affermazione della carica eversiva di chi è distaccato dal corpo sociale e acquista la capacità di vedere e sentire oltre. Il vampiro di Herzog soffre "umanamente" di una mancanza d'amore prolungata nell'eternità e per amore distrugge se stesso e la collettività , ma solo dopo aver portato con il "male" lo sconvolgimento dei ritmi di vita borghesi e quindi anarchia, sfrenatezza, scatenamento sensuale, febbre erotica: momenti di "malata" esaltazione vitalistica, altrimenti non raggiungibile (Grosoli).

 

NOTA 1: Werner Herzog in merito alle scene sulla peste: "Erano undicimila topi che dovevano aggirarsi per la città colpita dalla peste. Ma siccome a Delft faceva freddo, loro si ammucchiavano l'uno sull'altro, io li sparpagliavo e loro mi mordevano. Ma erano topi da laboratorio, importati dall'Ungheria e sottoposti a controllo medico".

NOTA 2: Klaus Kinski aveva già partecipato ad una riduzione del romanzo di Bram Stoker, interpretando il ruolo di Renfield ne Il Conte Dracula (1970) del leggendario Jess Franco. Nel 1988, poi, rivestirà nuovamente i panni del mefitico conte nel curioso Nosferatu a Venezia di Augusto Caminito, con Donald Pleasence e Barbara De Rossi.

NOTA 3: Il gruppo musicale romano delle RanestRane (Daniele Pomo, Riccardo Romano, Massimo Pomo, Matteo Gennari) ha completamente rimusicato, con una nuova colonna sonora in chiave rock, il film di Herzog. Questo lavoro musicale "celebra l’arte del raccontare, che scaturisce dall’abile macchina da presa e dal genio cinematografico di Werner Herzog, regista della decontestualizzazione". Per maggiori informazioni visitate il sito: http://www.nosferatuilvampiro.it

 


WOYZECK    £
Woyzeck (1978) - 81 min. - VHS (GENERAL VIDEO - VIDEOGRAM - NUMBER ONE VIDEO - SAN PAOLO).

Giudizio:

iiii

È indubbia l’influenza che il teatro di Georg Buchner (1813-1837) ha avuto nell’opera di Herzog, così come una sorta di atipicità accomuna i due autori nella letteratura tedesca dell’ottocento (l’uno) e nella cinematografia tedesca del novecento (l’altro).

Se la straordinaria potenza del Lenz buchneriano è rintracciabile in molti film del cineasta bavarese (da Segni di Vita a L’enigma di Kaspar Hauser, dove la frase : "Non sentite ovunque queste grida di terrore che normalmente chiamiamo silenzio?"  viene citata in apertura) è però il Woyzeck (1835) che si presenta, ad una rilettura attenta, come un testo affollato da figure e temi profondamente herzoghiani. C’è un personaggio principale, oppresso e sconfitto, il quale sente (dalla “terra”) ciò che gli altri non percepiscono. Ci sono caricaturali razionalisti (il capitano - vedi clip -ed il dottore) che si servono della scienza come mezzo di coercizione, di violenza.

La stessa struttura frammentaria del dramma (avente come sottotitolo: “un frammento”), con scene che a volte risultano inserti isolati dal contesto generale, finisce per adattarsi in modo esemplare all’idiosincrasia narrativa del cineasta, ed è quindi conservata integralmente (e giustamente) nel film. “la struttura del film in tanti blocchi autonomi senza soluzione di continuità e transizioni avvicinano molto questa versione all’originale visione di Buchner, tenendo anche conto che questa particolare natura frammentaria del Woyzeck è forse il suo aspetto più innovativo” (Peter Buchka).

Diventa quindi chiara e comprensibile la scelta di Herzog di non “adattare” il testo, ma invece di attenersi il più possibile ad esso, di rispettare e mantenere il “peso” specifico di ogni parola. Dal punto di vista filologico, si può rilevare soltanto lo spostamento nell’ordine di successione di alcune scene e la soppressione nel finale di poche battute che restano di incerta collocazione (alcune versioni del Woyzeck prevedevano un ritorno a casa - abbastanza dubbio - di Woyzeck e il suo arresto, mentre il film si chiude l’ultimo frammento del dramma, attribuita nel testo ad un poliziotto, “Un bel delitto, un delitto fatto bene. Proprio bello. Tanto bello che non si poteva pretendere di più. Era molto che non ce ne capitava uno così”).

Ogni soluzione di messa in scena è finalizzata alla concentrazione sulle intrinseche potenzialità comunicative dei dialoghi. Herzog rinuncia perfino a visualizzare, le allucinazioni di Woyzeck: la macchina da presa rimane costantemente sulla figura umana, sulla parola delirante, quasi sempre limitata a mezze figure e primi piani (molto rari nei film precedenti) che ritagliano uno spazio austero ed omogeneo. Confronti verbali e monologhi tendono ad essere risolti spazialmente dentro l’inquadratura, in piani sequenza con macchina fissa che evitano di frammentare l’”unità di azione” al punto che ogni scena del testo originale è contrassegnata di norma da appena due o tre stacchi con poche variazioni dell’angolo di ripresa.

Lo sguardo della mdp si dirige preferibilmente, come si diceva, sull’uomo, ed in particolare sul protagonista. Grazie alla straordinaria performance di Kinski (a mio avviso, seconda solo a quella di Aguirre), il quale anche qui è una seconda scelta (il ruolo doveva essere di Bruno S.). Il film diventa la rappresentazione intensamente fisica di un corpo umiliato disgregato, straziato ed insieme documentazione enigmatica su una maschera, uno sguardo allucinato e assente, perchè rivolto di continuo a quell’altro da sè, evocabile solo da poche frasi spezzate. Come ha notato Peter Buchka: “Kinski recita qui con un intensità che va al di là del semplice recitare […] la sua presenza scenica caratterizza il film almeno quanto la produzione di Herzog”.

È l’attore, con i suoi movimenti a scatti, frenetici, e con l’angoscia imperscrutabile fissata in ogni muscolo del suo volto, che sancisce la personificazione di Woyzeck come un anti-eroe proletario, schiacciato e degradato dalle manifestazioni più assurde della “razionalità” del potere (in qualunque forma si manifesti) e sopratutto connotato da una sensibilità “naturale” febbrile e dolorosamente “sbilanciata”, che lo vota alla solitudine ed alla sconfitta.

Se le altre figure del dramma rimangono necessariamente sullo sfondo (il commilitone Andres ed il tamburmaggiore, che insidia la moglie di Woyzeck - come personaggi indiscutibilmente minori – , il capitano ed il dottore – come inquietanti macchiette del potere), il personaggio di Maria, con la sua subalternità campagnola, è reso molto bene dalla brava Eva Mattes.

Se la presenza scenica degli attori è quì preponderante non bisogna dimenticare l’ambientazione scelta, la città di Telc in Cecoslovacchia, perfetto ambiente che riproduce il tranquillo sistema di vita borghese pre-industriale dell’epoca Biedermeier. Tanto più è ordinato e sereno l’ambiente tanto più risalta l’inadeguatezza di Woyzeck, lui nervoso, maldestro, spossato, con un andatura da “bestia inseguita”, in perenne conflittualità quindi con l’ambiente in cui agisce. Questo contrasto genera così una sottile tensione che sfocierà poi nell’esplosione finale: l’assassinio della moglie Maria.

E’ questa la classica scena madre del film: un campo di papaveri verdi mossi dal vento, un immagine di grande preziosità figurativa, degna di Kurosawa.

 

Brano dal film "Woyzeck"


Bibliografia    £


FILMOGRAFIA 1967 - 1973

FILMOGRAFIA 1982 - 2001

 


© 2002, Marco Salzano.

Updated July 2002. Additions, corrections, and friendly comments may be sent to: mrsalzano@astalalista.zzn.com

Rivisto Luglio 2002. Aggiunte, correzioni e commenti possono essere inviati a:  mrsalzano@astalalista.zzn.com

 

 

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